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STORIA DELL’ABBAZIA

L’edificazione del complesso si lega alle complesse vicende religiose che attraversarono l’Europa a seguito del trasferimento della Santa Sede ad Avignone  nel 1300.

Come ricorda la lapide ancora oggi conservata all’interno della chiesa, ne fu fondatore Alfonso Pecha di Guadalajata, già vescovo di Jaèn (in Andalusia), confessore e consigliere  della mistica Santa Brigida di Svezia, che nel 1368 aveva abbandonato le gerarchie ecclesiastiche per unirsi all’ordine degli Eremitani Agostiniani di San Gerolamo, sorto per impulso del fratello Pier Ferdinando e approvato nel 1370.

Il gruppo di religiosi mantenutosi fedele a Urbano VI, il papa regolarmente eletto a Roma dal conclave del 1378, approdava a Genova per sottrarsi alla politica persecutoria di Giovanni I, re di Castiglia e di Leon , fautore dell’antipapa Clemente VII.

Con bolla papale del 5 agosto 1383 l’autorità ecclesiastica autorizza la costruzione dell’edificio e il 18 dicembre dello stesso anno i Gerolamiti acquistavano per una somma pari a 1100 lire genovesi i terreni, e forse case, su cui sarebbe sorto il complesso monastico di Quarto. La scelta del sito non risulta affatto casuale, dal momento che proprio in quei luoghi aveva dimorato Santa Brigida nel 1346, in occasione di un viaggio di ritorno da Roma a cui anche il vescovo Pecha aveva preso parte.

La realizzazione dell’impresa fu accompagnata da notevoli difficoltà finanziarie.

Nel 1387 i religiosi elessero il loro primo priore, fra’ Sancio de Hispania; l’anno successivo tuttavia, essendo l’ordine prossimo all’estinzione, il vescovo Pecha offrì la fondazione di San Gerolamo alla Congregazione Benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto, che si impegnava a portare a compimento i lavori di costruzione.

Alla morte di Alfonso Pecha erano già state consacrate le absidi, poiché la sua sepoltura venne collocata nello spazio antistante la cappella della Beata Vergine Maria, da identificare con quella a sinistra dell’altare maggiore.

La sovrapposizione della costruzione olivetana alla struttura intrapresa dagli Eremitani rende difficoltosa l’individuazione del nucleo originario della chiesa, a croce latina, tre navate con transetto e coro secondo la modalità architettoniche in uso presso l’ordine cistercense. La limitatezza delle risorse finanziarie dovette incidere non poco sulla realizzazione del progetto, che non raggiunse le dimensioni di altri edifici coevi o precedenti e si concluse a distanza di oltre un secolo. Le indagini compiute durante gli interventi effettuati nel 1932-33 nell’area compresa fra la cappella absidale sinistra e la campata antistante il presbiterio hanno portato all’individuazione di  una porzione di muratura rettilinea che accenna una curvatura verso est: si tratta di parte della struttura muraria appartenente all’abside semicircolare primitiva, interrotta dall’ampliamento del coro nel XV secolo.

La chiesa non era dotata di sala capitolare. La sacrestia venne eretta agli inizi del ‘400 per intervento del nobile Luciano Spinola (scomparso nel 1423).

L’attuale sacrestia dovrebbe essere antecedente all’inizio del secolo XV ed anticamente fungeva da Sala Capitolare.

Dopo la seconda metà del ‘400 la cappella di Santa Croce appena costruita ospitò i capitoli.

Il rifacimento del coro nel decennio 1480-90, rispondeva invece alle necessità di preghiera e canto corale di una comunità religiosa sempre più ampia. A pianta poligonale con copertura a crociere costolonate, il nuovo coro fu consacrato, assieme all’altare maggiore, nel 1492. La navata, delimitata da quattro pilastri ottagonali in pietra di Promontorio con copertura a vela e vele pensili nella navata centrale, fu ultimata poco prima del 1495, anno della solenne consacrazione della Chiesa.

I numerosi interventi a cui è stato  sottoposto il corpo conventuale di San Gerolamo nel corso dei secoli non hanno alterato l’unitarietà e la coerenza architettonica dell’edificio.

Sviluppato su tre piani, esso si estende su una superficie pari a 4800 mq circa, di cui un quarto occupata da tre chiostri quadrangolari delimitati da lunghi porticati coperti da volte a botte e a crociera, oggi parzialmente tamponati. Il primo chiostro, aperto su un lato e rivolto verso la città, appare più monumentale, decorato dall’affresco di Nicolò Corso, raffigurante San Gerolamo penitente nel deserto; il secondo, di proprietà dell’ospedale Gaslini, raggiunge le dimensioni più ampie; il terzo occupa un’area più esigua ed è dotato di una loggia a due piani parzialmente demolita.

Il muro orientale e il portichetto occidentale sono appartenenti forse a strutture preesistenti inglobate nel perimetro della nuova costruzione.

All’interno prevalgono le superfici intonacate e solo il refettorio di proprietà dell’ospedale Gaslini presenta decorazione pittorica murale. Qui l’intervento di Nicolò Corso, databile al 1503, si sovrappone a pitture appartenenti a epoche diverse e tratta un’iconografia piuttosto tradizionale: San Benedetto che consegna la regola, l’Ultima cena, la Crocifissione.

Il fatto che la raffigurazione sia interrotta a tre quarti del perimetro indica come il refettorio fosse, in realtà, diviso in due ambienti coperti da crociere affiancate.

Soppresso nel 1797 e restituito agli Olivetani nel 1815, chiesa e monastero conobbero una fase di semiabbandono in seguito alle leggi emanate nel 1855, che allontanavano definitivamente l’ordine religioso che vi aveva dimorato per poco meno di cinque secoli.

Nel 1859 fu acquisito dall’Ospedale  di Pammatone, ora San Martino, e destinato dapprima ad orfanotrofio femminile, in seguito a cronicario. Nel 1925 fu concesso in locazione al Piccolo Cottolengo di Don Orione, finchè nel 1932-33 non prese avvio una fase di ricupero e restauro ad opera di Domenico Mosso. Nel 1944 l’edificio passò per compravendita al conte Gerolamo Gaslini e venne annesso all’Istituto Ospedaliero Giannina Gaslini. Nel 1958 la chiesa, diventata parrocchia, venne affidata ai Cappuccini, che furono sostituiti dai sacerdoti diocesani nel 1984.

Dal 2008 la Chiesa e una parte del Convento tornarono di proprietà della Parrocchia.

VISITA GUIDATA DELLA CHIESA

La facciata della chiesa ha un aspetto piuttosto semplice, a doppio spiovente, mossa soltanto dalla finestra quadrilobata e dal fregio in pietra di Promontorio, collocato sopra la porta centrale, che raffigura lo stemma di Monte Oliveto – tre monti sormontati da una croce e due rami d’ulivo – San Gerolamo e San Benedetto ai lati.

La prima cappella a destra dell’ingresso è dedicata a Santa Francesca Romana, fondatrice delle Terziarie Olivetane. La lastra tombale datata 1619 sulla parete di destra ricorda l’edificazione ad opera della famiglia Spinola e fonda l’ipotesi di datazione del palliotto al periodo 1620-30 .

Uscendo dalla porta laterale di destra si accede al Chiostro minore dell’Abbazia (quello maggiore è di proprietà dell’Ospedale Gaslini ed è quindi visitabile solo previo accordo con la Direzione dell’Istituto). In esso troviamo affreschi di Nicolò Corso, purtroppo molti dei quali in precario stato di conservazione in quanto soggetti alle intemperie, tra cui quello raffigurante San Gerolamo penitente nel deserto.

Procedendo verso il transetto, una tela di grandi dimensioni con la Resurrezione di Cristo, riferibile ad ambito genovese, decora la parete destra del transetto, su quella sinistra, è posta invece la lapide commemorativa del vescovo Alfonso Pecha  in caratteri gotici, si giunge quindi alla cappella di San Gerolamo (prima metà del XVI secolo, gentilizia degli Spinola), sormontata da cupola a sesto rialzato con lanternino e decorata dalla tela con San Gerolamo flagellato dagli angeli (Stefano Maria Legnani). 

A destra sopra il sarcofago, è collocata la tela di Orazio De Ferrari con la Lactatio di San Bernardo, il santo che nel 1625 fu dichiarato protettore di Genova.

L’altare è composto per assemblaggio di elementi di diversa epoca e provenienza. Per il palliotto si è supposto possa trattarsi del sarcofago commissionato a Michele d’Aria e Gerolamo Viscardo da Agostino e Giovanni Adorno nel 1497. I rilievi raffigurano Virtù entro nicchie inquadrate da archi a pieno centro retti da eleganti pilastrini decorati, Giustizia al centro, Carità e Prudenza ai lati, Temperanza  sul fianco sinistro, il tabernacolo a forma di tempietto cupolato a due ordini, in tarsie di marmo policromo, datato1645.

La grande nicchia centrale che si apre tra le colonne che reggono l’architrave ospita la statua marmorea della Vergine Immacolata, mentre in quelle laterali, di minori dimensioni, trovano posto quelle di Santa Francesca Romana e di San Bernardo Tolomei, tutte opera di Emilio Dellacasa (XX secolo). Sulle porte sono collocate le statue marmoree di Santa Barbara (XV secolo) e di San Giovanni Battista (XVII).

Le pareti sono ornate da quattro tele di grandi dimensioni: a destra San Leonardo di Limoges fa liberare Boemondo di Giulio Benso, databile entro il terzo decennio del XVII secolo, San Leonardo di Limoges fa scaturire una fonte  di Giovanni Andrea De Ferrari; a sinistra, SantSant’Antonio e anime del Purgatorio, di ambito genovese del Seicento, e un’Adorazione dei Magi riferita all’ambito di Luca Cambiaso.

Gli stalli lignei del coro furono realizzati nel 1845 su finanziamento del Re Carlo Alberto di Savoia.

La ex cappella di Santa Chiara a sinistra del presbiterio, è tradizionalmente identificata con quella che gli Olivetani eressero tra 1475 e il 1478. In essa è ospitato un originale crocifisso ligneo con le braccia articolate, che probabilmente in passato veniva deposto dalla croce il Venerdì Santo e venerato come immagine del Cristo morto, previa la rotazione delle braccia in modo che diventassero parallele al corpo.

Segue la cappella di San Nicola di Bari (1649), ornata di una pala di ambito veneto del XVII secolo con Miracolo del Santo sull’altare e sulla parete sinistra, la Madonna del Rosario con San Domenico e San Francesco d’Assisi attribuita a Giovanni Battista Parodi (Genova 1674 – Milano 1730).

Da qui si accede all’ampio vano rettangolare, noto come cappella di Santa Croce (1490), gentilizia da Passano, o sala capitolare, che oggi custodisce alcune interessanti opere: sull’altare Natività di Cristo, opera giovanile di Bernardo Castello; sulla parete destra, Scene del Giudizio Universale (secolo XVIII) ,San Bernardo riceve dal Bambino in braccio alla Vergine le chiavi della città di Genova, che reca la firma di Luciano Borzone, San Giovanni Battista, Santa Elisabetta e la Madonna in Gloria (ignoto del secolo XVIII-XIX), San Pietro e l’angelo; sulla parete sinistra : Caduta di Cristo sulla via del Calvario, affresco di Paolo  Gerolamo Piola, Giudizio Universale (secolo XVIII), Estasi di San Francesco confortato dagli angeli.

Il successivo altare di Nostra Signora delle Grazie, eretto da Cosma Damiano Giustiniani nella prima metà del ‘500 e rinnovato nel 1600 da Lorenzo Sauli, custodisce la tardo trecentesco di produzione ligure raffigurante la Madonna delle Grazie, detta anche Madonna del Cardellino.

L’altare del Crocefisso ligneo (fine ‘400) reca nei pilastri gli affreschi di Nicolò Corso con i Santi Lorenzo e Sebastiano.

Conclude la visita la cappella del Beato Bernardo Tolomei (1612, gentilizio Spinola), dedicata al fondatore nel 1313 dell’ordine degli Olivetani. L’ancona con la Visione del Beato e monaci è opera di Giovanni Battista Paggi; incerta l’attribuzione della Ascensione di Cristo sulla parete destra mentre le due tele lunettate con Sogno di San Giuseppe e Riposo nella fuga d’Egitto, in alto, furono realizzate da Domenico Guidobono tra la fine del XVII secolo e gli inizi di quello successivo. Al centro è collocato il piccolo battistero con gli sportelli di Adelina Zandrino, sormontato dalla statua del Battista, opera della stessa  Zandrino.

Di Adelina Zandrino sono anche le tavole della Via Crucis. Sulle pareti della chiesa sono state trasferite le lapidi tombali ricuperate dal pavimento, durante interventi del 1933.